Il piacere nella storia della filosofia

Il piacere è un sentimento o un'esperienza che corrisponde alla percezione di una condizione che nella maggior parte delle volte è positiva, in quanto spesso è in contrasto con il dolore o la sofferenza inclusiva di tutto il nostro sentirsi male.

Che strana cosa sono il piacere e il dolore; sembra che ognuno di loro segua sempre il suo contrario e che tutti e due non vogliano mai trovarsi nella stessa persona.

PlatoneFedone Socrate

Il piacere si presenta buono e attraente: questo suggerisce semplici spiegazioni sia sul perché le persone perseguono il piacere, sia sul motivo per cui ci sono ragioni per farlo. Quindi il preferire qualcosa per il piacere che ci provoca suggerisce che ci sono fatti sul piacere che rendono alcune di queste scelte migliori. Alcuni filosofi partendo da questo presupposto hanno ipotizzato che il piacere fosse l'unica caratteristica che rende le esperienze buone e attraenti nella misura in cui si presentano e che il dolore fosse, opposto al piacere, quella caratteristica che renderebbe la vita misera. Questa semplice immagine e le relative rivendicazioni e spiegazioni erano particolarmente importanti nella psicologia, nell'economia e nella filosofia dei secoli diciottesimo e diciannovesimo.


SOCRATE E LE SCUOLE SOCRATICHE

Tra i primi filosofi a dare una definizione di piacere ci fu Socrate, che accostò questa sensazione alla "Aretè", il cui significato si avvicinava alla "Virtus" romana, un termine che indicava il vivere una vita degna di essere vissuta. Tra i successori di Socrate sul tema del piacere ci furono diverse interpretazioni. Possiamo dividerli in Cirenaici da una parte e i Cinici dall'altra: i primi associarono il piacere all'edonismo, invece i secondi giudicavano questo sentimento come un male da evitare. Per i Cirenaici esisteva una separazione tra "piacere" e "dolore", il primo un movimento calmo, il secondo un movimento aspro. Il piacere era definito un'esperienza puntuale e transitoria che può essere colta solo se non viene contaminata dal ricordo o dall'attesa, in quanto deve restare un'esperienza pura.


Platone assume una posizione intermedia rispetto ai Cirenaici. Nonostante una quasi totale avversione verso il piacere carnale, nella Repubblica la funzione del piacere viene riconosciuta nella sua positività, anche se comunque viene affermato che i piaceri devono essere governati dalla Ragione e solo i piaceri dell'anima sono definiti puri in quanto durevoli e non frammisti al dolore. Per Aristotele il piacere non è un movimento ma ciò che si accompagna a un'attività che abbia condotto: esso è dunque un'esperienza soggettiva della perfezione oggettiva. La prima definizione del piacere in relazione al bisogno venne invece avanzata da Epicuro che lo definisce una condizione stabile derivante dall'assenza di ogni bisogno o desiderio del corpo umano.


La filosofia cristiana mise l'accento sulla tendenza ascetica del platonismo e del neoplatonismo, condannando, assieme al corpo, i piaceri sensuali come fonte di peccato. In particolare la morale cristiana avversò la concupiscenza sessuale ed esaltò la castità e il disprezzo di ogni interesse o voluttà corporei: quello che Nietzsche definirà come la morale degli schiavi in quanto valorizza tutti quei valori antivitali ed esalta il sacrificio. Nel corso del Medioevo, tuttavia, varie sette ereticali si opposero a tale rigido ascetismo, ma fu solo con l'Umanesimo che il piacere venne visto come reale movente delle azioni umane, e durante l'Illuminismo il principio del piacere venne posto a fondamento di un'etica materialistica. Successivamente il piacere divenne il criterio ultimo e auto evidente per la fondazione di un'Etica Sociale dell'Utilitarismo.


KANT

Negli stessi anni in Germania venne definito il Piacere della Sensibilità come tendenza a perpetuare una qualsiasi sensazione o stato, i quali di per sé non sono né piacevoli né spiacevoli. Kant si collega a quest'ultima definizione descrivendo la facoltà di provare piacere o dispiacere propria dell'estetica, che in sé non ha nulla di sensibile ma risulta dalla contemplazione di forme belle. Per Kant il piacere non può avere un fine morale in quanto andrebbe in contrasto con l'imperativo categorico che a quel punto diventerebbe un imperativo ipotetico, Questo genere di morale ipotetica non è tuttavia esclusa da Kant, ma solo subordinata.


SCHOPENHAUER 

La vita umana è come un pendolo che oscilla incessantemente fra noia e dolore, con intervalli fugaci, e per di più illusori, di piacere e gioia.

SchopenhauerIl mondo come volontà e rappresentazione 

Per Schopenhauer il piacere stesso, fisico o psichico, non è altro che una cessazione momentanea del dolore, lo scaricarsi di una preesistente situazione di tensione, a cui succedono nuovi desideri, e quindi dolore, oppure la noia. La noia subentra quando viene meno il pungolo del desiderio, un vuoto così orribile che rende detestabile la vita. 

LEOPARDI

L'anima umana (e così tutti gli esseri viventi) desidera sempre essenzialmente, e mira unicamente, benché sotto mille aspetti, al piacere, ossia alla felicità, che considerandola bene, è tutt'uno col piacere.

Leopardi - Lo zibaldone 


NIETZSCHE e FREUD 

Per Nietzsche il piacere si collega alla volontà di potenza in quanto quest'ultimo è il fine ultimo della vita per il superuomo, ed è in questa volontà che l'eterno ritorno si concretizza, e il piacere è una parte fondamentale per la realizzazione del Superuomo. In più, Nietzsche va contro la morale cristiana del piacere, che rendeva questo un peccato, in quanto allontana le persone dalla terra e dalla realizzazione del superuomo facendo in modo che i valori nocivi per la vita sulla terra quali umiltà, sottomissione, sacrificio, fossero visti come fondamentali. 

Per Nietzsche il piacere è collegato all'inconscio, punto su cui poi si collegherà la filosofia / psicologia successiva con Freud, che nella sua teoria delle pulsioni inserisce il piacere come elemento portante della psicoanalisi.


IL PIACERE NELL'ETÀ MODERNA

Nell'età moderna il piacere è studiato dal punto di vista della fisiologia, in quanto numerosi studi hanno dimostrato ormai che esiste un'unità neuronale che lega il vizio alla virtù per cui quando si soddisfano bisogni di qualsiasi natura, anche quelli potenzialmente nocivi, si generano processi di origine chimica dovuti all'apparato cerebrale che rilascia la dopamina, un neurotrasmettitore che procura la sensazione del piacere, questa sensazione inoltre può essere stimolata con l'intervento di sostanze chimiche. 

Enciclopedia Garzanti di filosofia...

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